L’idea di utilizzare il ciclo del combustibile detto del Torio-Uranio, piuttosto che quello universalmente utilizzato dell’Uranio-Plutonio, è in circolazione da moltissimi anni. Tuttavia, dopo una fase di entusiasmo è stata – per così dire – messa da parte, fino a quest’ultimo periodo, durante il quale il grande dibattito sull’energia nucleare lo ha fatto tornare “di moda”.
Dal punto di vista tecnico, occorre premettere che gli elementi “fissili”, ovvero per i quali la reazione di fissione viene provocata da neutroni di qualsiasi energia, sono pochissimi: oltre all’235U, il 239Pu e diversi attinidi, c’è l’233U, un isotopo che non esiste in natura, ma che può essere prodotto dal bombardamento neutronico del 232Th.
Uno degli aspetti che rendono interessante il ciclo del Torio, è dunque che praticamente tutto il 232Th può essere utilizzato per produrre combustibile nucleare, mentre solo una piccola percentuale (meno dell’1%) dell’Uranio naturale è costituita da 235U, e inoltre il processo di separazione (il cosiddetto “arricchimento”) dall’isotopo 238U è estremamente complesso e costoso.
Un’altra interessante proprietà è la probabilità di fissione rispetto a quella di cattura del neutrone: in un reattore, i neutroni sono i proiettili che inducono la reazione di fissione nell’elemento “combustibile”, ma – a volte – vengono catturati, producendo isotopi generalmente radioattivi. Nel caso del Torio la probabilità di cattura è però solo 1/10 rispetto a quella di fissione, da confrontare con 1/6 di quella dell’235U o addirittura 1/2 del 239Pu; inoltre i nuclei prodotti sono generalmente più leggeri e con una radioattività con vita media minore e spesso – a differenza degli attinidi (elementi transuranici) prodotti dall’238U già con una sola cattura neutronica – riutilizzabili come combustibili in un reattore.
Dal momento che nel ciclo del Torio è necessario “fertilizzare” l’elemento naturale 232Th per mezzo di cattura neutronica (che produce 233Th, il quale decade velocemente in 233Pa, che a sua volta decade in 233U), un’altro vantaggio è costituito dall’elevata sezione d’urto neutronica, il che rende possibile produrre 233U efficientemente anche con neutroni termici in un reattore del tipo “lento”, come quelli a acqua bollente (BWR) o pressurizzata (PWR) attualmente in esercizio in tutto il mondo. Questa è un’importante differenza rispetto ai reattori autofertilizzanti a neutroni “veloci” (fast-breeding), utilizzati per “fertilizzare” l’Uranio naturale e produrre 239Pu: lo spettro veloce dei neutroni, infatti, presenta problemi legati all’elevata attivazione dei materiali (oltre ai tanti problemi legati alla produzione di Plutonio, all’elevato arricchimento del “seme”, la bassa velocità della “fertilizzazione”, ecc.).
Infine, a differenza del ciclo Uranio-Plutonio, che produce materiale fissile potenzialmente utilizzabile per fini bellici, l’233U può essere facilmente essere reso inadatto all’uso militare mescolando con Uranio impoverito.
Ma il vantaggio di gran lunga più interessante dei reattori che utilizzino il ciclo Torio-Uranio è la radiotossicità molto inferiore, e con produzione di elementi a più corta vita media, rispetto al ciclo Uranio-Plutonio, la quale, congiunta con la migliore efficienza di utilizzo del “combustibile” abbatte notevolmente il tempo necessario a far scendere la radioattività delle scorie a livelli accettabili.
Tuttavia, l’uso di questo tipo di combustibile nucleare non è immune da svantaggi. Il principale è l’elevata radioattività gamma dei radionuclidi che – sebbene di breve vita media – pone problemi nella manipolazione dei materiali molto superiore rispetto alla radioattività alfa di Uranio e Plutonio.
L’altro grande ostacolo all’impiego di 232Th-233U come combustibile nucleare è stato il fatto che l’unico progetto di reattore fino ad oggi realizzato prevede l’utilizzo come “cuore” in cui avviene la fissione e “coperta” in cui è posto il materiale da arricchire per bombardamento dei neutroni, di due fluidi costituiti da sali metallici fusi. Questa tecnologia pone problemi tecnologici notevoli, a partire dall’alta reattività di questi sali al contatto con l’aria, sebbene appaia intrinsecamente più sicura, ad esempio, dal punto di vista della problematica della fusione del nocciolo: il sale è già fuso e dunque non ci sono i problemi legati al surriscaldamento del refrigerante.
Non si può infine non citare, parlando del ciclo del Torio, il celebre progetto “Energy Amplifier” del premio Nobel, prof. Carlo Rubbia. Questo progetto prevede l’utilizzo di un reattore sub-critico, ovvero nel quale la reazione a catena non è stata innescata. In questo caso, è necessaria una sorgente di neutroni “esterna” al reattore, che “sostenga” le reazioni di fissione. Il vantaggio in termini di sicurezza è evidente: non appena la sorgente esterna si spegne, per un qualsiasi problema tecnico, il reattore si “spegne” istantaneamente.
Nel progetto di Rubbia la sorgente di neutroni è un acceleratore di protoni, un sincrotrone per la precisione, e dunque i due principali problemi sono da una parte il costo molto elevato di un tale acceleratore, dall’altra la difficoltà di produrre una sorgente di neutroni della potenza richiesta.
Il torio inoltre e’ circa 3 volte piu’ abbontante
dell’uranio.
Per quanto riguarda invece il fatto che sia
piu’ complicato utilizzarlo a fini bellici
sarei molto meno ottimista.
La tecnologia e’ neutra (credo) rispetto al
suo utilizzo.
Esatto, 3 volte, ma poi lo puoi utilizzare al 100%, in pratica, mentre l’Uranio 235 è meno dell’1% dell’Uranio naturale, quindi il fattore è 300.
La tecnologia è neutra… ma resta il fatto che la scelta della tecnologia nucleare durante la guerra fredda era fatta soprattutto in funzione della facilità di ottenere materiale per gli ordigni nucleari…
La ragione per cui sono stati realizzati i reattori di tipo Chernobyl, RBWR, era anche la facilità di estrarre gli elementi di combustibili esausti per poi utilizzarli nelle bombe.
Condivido in pieno: nei reattori RBWR era addirittura possibile estrarre singoli elementi di combustibile durante il funzionamento del reattore, cosa che
permetteva di ottenere piu’ efficientemente Pu-239… Per questo personalmente considero Chernobyl qualcosa di molto al di la’ di un catastrofico incidente del “nucleare civile”: e’ veramente la dimostrazione di quanto la tecnologia nucleare sia stata pesantemente indirizzata dalla guerra fredda e di
quanto la sicurezza fosse in quel periodo consapevolmente trascurata a vantaggio di altre “esigenze”.
Non e’ un caso, quindi, che i progetti sul torio siano stati messi da parte – da tutti – per moltissimi anni.
Vorrei dare un piccolissimo contributo aggiungendo che un filone dell’attuale ricerca sul torio nei reattori di tipo “lento” (ci sono diversi progetti europei a riguardo) studia oltre alle matrici torio-uranio matrici torio-plutonio, con il fine dichiarato di “bruciare” le quantita’ di plutonio accumulate che abbiamo ereditato dal periodo della guerra fredda. Non so se questo sia il modo migliore, ma di certo con questa pesantissima eredita’ si dovra’ in qualche modo fare i conti.
Infine: l’idea del Prof. Rubbia dell’ “Energy Amplifier” e’ vivissima negli attuali progetti volti alla realizzazione proprio di sistemi sottocritici “accelerator driven” (ADS), dove l’accensione della reazione nucleare avviene per mezzo dei neutroni prodotti per spallazione nell’interazione di un fascio di protoni con un target opportuno (generalmente un metallo pesante,
per l’elevato yield di neutroni). Un ulteriore vantaggio di questi sistemi (oltre a quello illustrato benissimo nel tuo articolo) e’ la possibilita’, da dimostrare
sperimentalmente misurandone l’efficienza, di trasmutare scorie a vita lunghissima (sia i prodotti di fissione a vita lunga che, soprattutto, gli attinidi minori) in radionuclidi a vita molto piu’ breve.
Grazie Anna!
Penso che il progetto Energy Amplifier sia molto interessante, anche se non mi è chiaro come si fa a fare un fascio di neutroni di una decina di MW se ricordo bene…
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