
I temi della ricerca e dei relativi investimenti, del rapporto tra scienza, innovazione e sviluppo sono entrati stabilmente nell’agenda politica e nella discussione pubblica. A parole tutti ne riconoscono l’importanza; più difficile – com’è noto – è tradurre in pratica queste buone intenzioni. La nuova edizione dell’«Annuario Scienza e Società» di Observa Science in Society, pubblicato da il Mulino a cura di Federico Neresini e Andrea Lorenzet, offre una preziosa occasione per fare il punto della situazione sulla base dei dati più aggiornati.
Partiamo dai dati che più spesso vengono citati per lamentare l’arretratezza del nostro Paese: la quota di Pil dedicato a ricerca e sviluppo e il numero di ricercatori per mille occupati. In entrambi i casi qualche minimo progresso c’è stato: tra il 2010 e il 2012 la percentuale di ricchezza nazionale dedicata a ricerca e sviluppo è passata dall’1,1% all’1,3%; nello stesso periodo i ricercatori sono passati da 3,6 a 4,3 su mille occupati. Il problema è che nello stesso periodo la «concorrenza» è stata tutt’altro che immobile: la Danimarca, tanto per fare un esempio, è passata dal 2,6% di investimenti al 3,1%; la Corea dal 9,5 all’11,1…
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Pochi, bravi e dimenticati: sono gli scienziati d’Italia