Accorpamento enti di ricerca: intervista alla ministra Giannini

Fonte: Il Secolo XIX

Roma- Razionalizzazione sì, ma non sotto la spada di Damocle dei tagli alla spesa: la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini conferma il piano del governo per gli enti di ricerca, rivendicandone però l’obiettivo ultimo, ovvero piano strategico per il comparto. E, soprattutto, avocando a sé la competenza sulle scelte.

In che cosa consiste questo piano? «L’intenzione del governo è di razionalizzare e aggregare i 22 enti, di cui circa una dozzina sotto il controllo del Miur. E’ prima di tutto il mondo della ricerca a chiederlo. E’ chiaro, però, che qualsiasi decisione va presa con il bisturi. Anzi, con il laser. L’ho detto chiaramente in consiglio dei ministri: il settore della ricerca ha obiettivi verificabili nel lungo periodo, e non quantificabili solamente con i parametri dei costi e dei ricavi. Ci sono specificità che devono essere considerate. E per questo, il riordino degli enti non sarà inserito nel decreto sulla pubblica amministrazione, ma in un altro provvedimento, ancora tutto da progettare».

Qual è la sua idea? «I modelli da cui attingere sono diversi. Quello italiano prevede strutture diverse, ognuna con la sua missione, alcuni dipendenti dal mio ministero, altri da differenti dicasteri che con coi condividono gli obiettivi. Ho però spiegato al presidente del Consiglio Matteo Renzi che con una struttura così è difficile passare a una visione strategica della ricerca, che conta quanto un piano strategico per l’industria, in un Paese evoluto. Un altro modello possibile è la costituzione di un’agenzia unica nazionale. Anche in questo caso, però, ci sono delle controindicazioni: dare la stessa copertura gestionale a enti che hanno obiettivi diversi, non è detto risolva i problemi. Il Cnr, per esempio, fa ricerca ma anche molto trasferimento tecnologico, mentre l’Agenzia spaziale è già un’agenzia a tutti gli effetti, che non fa ricerca di base, come invece accade all’Istituto nazionale di fisica nucleare. Io penserei, piuttosto a creare delle aggregazioni sulla base di attività svolte e missioni omogenee.Resta il problema delle risorse».

Così si risparmia davvero? «Mi rifiuto di ragionare in termini di minor spesa, semmai parlerei di soluzioni ad alta valenza strategica. Le faccio un esempio: per fare ricerca oggi, c’è un continuo scambio con l’estero, ed è chiaro che applicare a un contesto del genere le regole della pubblica amministrazione, non è il massimo. Servono invece flessibilità e rapidità nell’assunzione delle decisioni. Anche se, ovviamente, se ci sono degli sprechi, vanno eliminati».

Ne ha parlato con il ministro dell’Economia Padoan? «Dovrei incontrarlo a metà mese, per parlare di questo e altro. Intendiamo prendere carta e penna e mettere ordine nei temi che interessano entrambi. E’ importante, per esempio, capire quali risorse saranno disponibili sin da quest’anno per l’università, con l’obiettivo di dare agli atenei la certezza del budget per il prossimo biennio. Che non significa necessariamente che ci saranno più soldi».

Quali sono le priorità che sottoporrà al Tesoro? «Prima di tutto la possibilità di fare programmazione, che significa certezza delle risorse. E, in particolare sulla scuola, dobbiamo capire che cosa possiamo fare per ripensare il contratto degli insegnanti, valorizzandone il ruolo e, soprattutto, immaginando un reclutamento che premi il merito. Conto di fare una proposta entro tre mesi. Prima, però, l’Economia deve dirmi quanto intende investire: una parte di denaro possiamo recuperando diminuendo i progetti in favore della premialità, ma poi è lo Stato che deve contribuire alla parte mancante».

Renzi dice di essere pronto a fare le riforme senza i sindacati. Lei? «Vorrei fossero partecipi e abbiamo avviato un confronto. Il sindacato però deve fare un salto culturale, così come stiamo provando a fare noi: da organismo che protegge il passato, deve diventare realtà che costruisce il futuro. Provo a essere più concreta: nella scuola, gli scatti di anzianità non possono essere l’unico canale per fare carriera».

Intanto, lei sta pensando ad abolire i test d’ingresso a medicina. «Non immagino certo un dietrofront sulla selezione all’ingresso. Ma credo non si possa decidere il destino di un individuo, in due ore, con quei test e senza considerare la sua scuola scolastica. E’ questa una selezione efficace, mi domando? Mi piace di più il modello francese, con la selezione spostata al secondo anno sulla base dei risultati ottenuti. Certo, anche qui, va valutato il rapporto costi benefici».

Prima, però, è lei che dovrà superare il test delle europee, visto che è stata candidata. «Ho deciso di metterci la faccia fino in fondo. Gli europei stavolta devono decidere se vogliono mandare avanti il corso della storia, completando il progetto che ci ha portato a un’Europa unita dal punto di vista monetario, ma non ancora da quello politico. Solamente così, i 450 milioni di europei avranno il peso che ci è assegnato dal ruolo di front-office con l’Africa e di cerniera tra est e ovest».

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