Il presidente del consiglio, Matteo Renzi, ha annunciato “tagli agli sprechi con la riorganizzazione strategica della ricerca pubblica, aggregando 20 enti che svolgono funzioni simili: una rivoluzione pazzesca”.
Nella medesima conferenza stampa, accanto a Renzi, la ministra della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, ha precisato che “sulla ricerca pubblica preferirei un disegno di legge a parte per valorizzare le eccellenze che ci sono in Italia”.
Dopo la grande consultazione sulla riforma della Pubblica Amministrazione, che ha visto l’invio di quasi 40,000 messaggi all’indirizzo rivoluzione@governo.it, chiusa lo scorso 30 maggio, il 13 giugno è annunciato, in Consiglio dei Ministri, l’inizio di questo iter di riforma.
Cosa ne pensano i ricercatori, tecnologi, tecnici ed amministrativi degli enti di ricerca? E i cittadini che comunque si interessano di ricerca?
Esprimete liberamente la vostra opinione.
Caro Paolo,
alla prima domanda ho avuto difficoltà’ a rispondere.
Il fatto e’ che il problema di fondo e’ accorpare o meno ( vecchia tecnica politica quella dell’annuncio di un azione demagogica e popolare per nasconderne una molto più’ pericolosa).
Il problema e’ il modello di governo e la struttura del finanziamento e l’accesso ad esso da parte dei ricercatori.
E’ molto difficile spiegare “alla gente” che le grandi scoperte scientifiche e i grandi progressi tecnologici non sono altro che grandi fluttuazioni di un sistema fortemente caotico.
Il gas e’ fatto di piccole ricerche, al limite della fattibilita’, fatte da singoli ricercatori e/o piccoli gruppi.
Questa progressiva verticalizzazione e gerarchizzazione del processo di valutazione delle ricerche e una progressiva, non illudiamoci anche futura, riduzione del finanziamento della ricerca di base crederanno un ecosistema in cui sopravviveranno solo grandi gruppi monotematici tutti impegnati su una nobile ricerca incrementale che difficilmente pero’ porta a nuove idee.
Io potrei vedere bene anche la creazione di un Istituto Nazionale di Fisica a patto che in esso si adotti, migliorandoli e rinnovandoli, i meccanismi di governo tipici dell’INFN.
ps. Il problema e’ anche banalmente temporale.
Elaborare un progetto e vederselo finanziato dopo anni non e’ sicuramente il meglio che si si possa auspicare. Quanti di quelli che invocano un’unica agenzia sono pronti a scommettere sui tempi necessari per avere un finanziamento ?
Il metro sono i 6 mesi attualmente necessari nell’INFN.
Hai ragione, ma il più delle volte siamo costretti a fronteggiare rivoluzioni e riforme epocali, senza che nessuno si sogni di consultarci. A dire il vero, si consultano i presidenti degli enti, che anzi in qualche caso si spendono a fondo per caldeggiare riforme e modifiche a loro care, ma non è detto che la loro visione sia condivisa dalla comunità scientifica.
io non penso niente. Potendo rinascerei delinquente. La differenza sottile tra l.onesto e il delinquente era che l.onesto viveva sereno. Oggi manco piu. questo e. possibile per l.onesto!
in che modo non saprei/poco importa ma la ricerca deve innanzi tutto essere liberata dalla troppa burocrazia. Tanti piccoli enti indipendenti non è libertà ma anzi proliferazione proprio della burocrazia, con enorme aggravio di spesa e spreco visto che chi costa più di tutto sono gli organi dirigenti. Gli accorpamenti penalizzano sì tutte le tipologie di precari (e a ciò va cercato rimedio in prospettiva ben più ampia) ma in primis i dirigenti. Ecco perchè finora non se ne è mai fatto niente: nessun presidente o DG o direttore amministrativo vuole perdere il posto. Ma è proprio su di loro che occorre tagliare.
Forse sono ingenuo ma mi pare che la “rivoluzione pazzesca” sia una trovata per vendere al grande pubblico altri tagli sulla ricerca. Non solo il taglio di piccoli enti di cui si può non sentire il bisogno ma l’ennesimo tentativo, dopo quello di Monti, per far cassa da tutte le parti. Sarà difficile far notare che nella ricerca occorre investire specie in periodi di crisi economica, specie se siamo agli ultimi posti in Europa per percentuale del PIL dedicato alla ricerca tanto la carta che giocherà Renzi sarà sempre la stessa: “ma come? In questo momento che tutti fanno sacrifici la ricerca non vuol fare la sua parte?”. Questo ci deve far capire li spessore politico e morale dei nostri governanti.
Non si può certamente escludere che qualche moderatissimo accorpamento di enti possa condurre a qualche risparmio. Ma quello che non mi piace assolutamente è l’aria che tira, cioè l’intento di intervenire pesantemente a rivoluzionare un settore che è stato già più volte rivoluzionato negli ultimi anni, invece di lasciarlo lavorare serenamente.
A proposito di accorpamenti ricordo che parecchi anni fa un politico, mi pare leghista, se ne uscì anche lui con proposte di accorpamento di estrema rozzezza, affermando che avrebbero condotto a grossi risparmi nelle spese di portineria dei diversi enti (per fortuna la cosa rimase senza seguito). E del resto certi recenti accorpamenti fra Istituti del CNR situati in luoghi a molte centinaia di chilometri non sembra siano stati molto felici.
Ora ho paura che una squadra di incompetenti di nomina governativa, nessuno dei quali abbia vissuto e lavorato per anni in un ente di ricerca, si metta a riorganizzare tutto quanto provocando sconquassi istituzionali, nel frattempo fermando iniziative di ricerca in corso o impedendo l’avvio di nuove. Incompetenti magari benintenzionati e volenterosi, che però assai probabilmente non sanno cosa significa l’eterogenesi dei fini.
Risparmiare qualcosa e forse più di qualcosa in realtà è possibile senza sconquassi. Ho imparato infatti da tempo (lavorando al CNEN, poi al CNR e infine all’INFN) che il denaro disponibile per la ricerca vale molto meno di quello a disposizione di un privato a causa della pesantezza e delle complessità della normativa in vigore, fra l’altro cresciuta potentemente negli anni. E quindi sburocratizzando, semplificando ed eliminando carte e passaggi inutili si potrebbero valorizzare parecchio i fondi a disposizione, nel contempo evitando anche di sottrarre tempo prezioso al lavoro dei ricercatori.
E quindi sburocratizzando, semplificando ed eliminando carte e passaggi inutili si potrebbero valorizzare parecchio i fondi a disposizione, nel contempo evitando anche di sottrarre tempo prezioso al lavoro dei ricercatori.
Fantascienza. Proprio un paio d’ore fa ho appreso la nuova regola, contenuta in un DDL già’ in vigore, del 5%. Se ho capito bene se uno nel passato ha comprato un bene con determinate caratteristiche al prezzo X
oggi se lo vuole ricomprare deve pagarlo un 5% in meno se non e’ possibile ne deve comprare uno con caratteristiche inferiori.
Lascio a voi immaginare il surplus di lavoro necessario per dimostrare ad un burocrate la commensurabilita’ o meno delle caratteristiche di molti degli strumenti che normalmente usiamo per lavoro.
Con la scusa della crisi, la politica si sta riappropriando del controllo di interi processi decisionali nell’investimento di denaro pubblico per la ricerca, che fino ad oggi erano esclusivamente ad appannaggio della nostra comunità’.
Il punto e’ che mentre noi ci possiamo vantare di come abbiamo speso il denaro pubblico lo stesso non si puo’ dire di tutte quelle realtà’ dove il controllo politico e’ stato ed e’ predominante.
Ed invito tutti i ricercatori/tecnologi e altri che nel sondaggio si sono espressi per l’agenzia unica di valutazione e a favore dell’accorpamento a riflettere su questo dato.
E ricordo che l”INFN ha prodotto quel che tutti vediamo solo perché’ il ruolo di programmazione scientifica e’ rimasto confinato all’interno della nostra comunità’. Per altro si dimostra che e’ anche stato artefice e motore di sviluppo industriale e trasferimento tecnologico solo che chi dovrebbe saperlo fa finta di ignorarlo….
La norma del 5% forse ha ragione di essere per quegli acquisti di ministeri e uffici che nulla hanno a che fare con la ricerca. Se devo comprare delle scrivanie nuove, e mi si chiede di spendere il 5% in meno, probabilmente non e’ difficile farlo. Così’ se devo rinnovare il campo macchine degli uffici di cancelleria di un tribunale. Ma se devo comprare le ottiche per un prototipo di un esperimento, o qualunque altra cosa che serve in laboratorio, la norma servirà non a risparmiare ma a sprecare il lavoro del ricercatore e degli amministrativi che dovranno escogitare come comprare il pezzo che serve malgrado la regola. La soluzione unica che vedo (e non solo per l’entrata in vigore del nuovo DDL del 5%) è che la ricerca esca fuori dalla pubblica amministrazione! E di corsa possibilmente…
completamente daccordo.
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Accorpando si creerà la solita struttura mastodontica ed elefantiaca, lentissima ed inefficiente. Ci siamo passati tante altre volte in altrettante situazioni. Mi chiedo come si possa essere d’accordo. Verranno asfaltate le eccellenze a favore di un inesorabile appiattimento. Tutto questo per risparmiare su qualche amministrativo. Un’operazione miope, tutt’altro che epocale e rivoluzionaria. Spero con tutto il cuore che non riesca a passare.
Infatti ci siamo passati già altre volte e basterebbe richiamare alla memoria esperienze neanche troppo remote
da piccolo ed insignificante operatore volontario nella ricerca storica penso che l’accorpamento in grandi organismi sia deleterio, nel 35-36 la riforma Bottai-De Vecchi cancello decine di istituzioni e deputazioni storiche, con effetti del tutto negativi. E credo che simili danni provocherebbero accorpamenti anche oggi, sia nel campo delle scienze ‘dure’ che in quelle umanistiche.
Certo, altro è il proliferare di istituzioni funzionali al singolo ricercatore o professore o barone, e questo va evitato ma altro è unificare istituti importanti, con esperienza e progetti pluriennali, ricercatori ed apparati rilevanti, casomai situati a distanza notevole l’un dall’altro. cosa li accomunerebbe ? solo il nome ed i dirigenti, ma per chi lavora sarebbe più complicato far riferimento ad organi amminsistrativi che stanno a centinaia di Km.
E quest’ultimo, come detto meglio di me da latri, è il problema grave: la burocrazia, i bolli, le regole minute. in istituzioni scientifiche si dovrebbero dare le regole dei privati, non le gare, le regole del 5%, ecc.; ovviamente con personale onesto ed intelligente.
Ed ancora i finanziamenti. Non si può penare qualcosa oggi, presentare il progetto fra un anno, averlo approvato fra due, finanziato fra tre (con un anticipo solo d’una quota) e rendicontato (e quindi rimborso della parte non ancora erogata fra quattro. Ed ovviamente se in questo tempo ci sono varianti da fare si fanno con semplicità, non con una serie di passaggi burocratici assurdi).
forse allora la ricerca decollerà davvero.
E’ vero! la burocrazia uccide la ricerca quanto i tagli di fondi e il blocco del turnover
L’esperienza (nostra e di altri in Italia ed all’estero) mostra che i mastodonti non fanno ricerca. Gli accorpamenti si possono anche fare ma tenendo presente le missioni che si assegnano alle strutture e cercando di non danneggiare quello che funziona. Gia’ cosi’ la consulta dei Presidenti degli Enti di Ricerca deve parlare di oggetti tra loro diversissimi (agenzie di finanziamento come l’ASI, enti con pesanti compiti istituzionali come l’INGV, enti “single mission” come la DZS-Stazione Dohrn, enti che fan di tutto come il CNR, enti che fanno ricerca di base accanto ad istituzioni fondamentalmente culturali senza ricercatori). Accorpare per “aree” non serve a nulla (se non a creare dei macro agglomerati di potere). Certamente mettere una “soglia minima” aiuterebbe a fare chiarezza..
Preoccupa lo strumento scelto (la legge delega). E’ la seconda volta in 8 anni che si fa una legge delega per il riordino “rivoluzionario” degli Enti. La prima volta si comincio’ durante il Prodi-bis e si fini’ con la riforma Gelmini. Da poco questo processo e’ terminato. Ora si ricomincia. Fare le riforme implica un lavoro (che costa in termini di risorse umane) anche da parte dei soggetti “riformati”. E’ chiaro che chi non ha mai lavorato puo’ non rendersi conto di questo…ma sarebbe bene che fosse un elemento presente nel dibattito.
concordo !!
Non e’ facile dare risposte secche alle domande…in un mondo ideale, in cui i cambiamenti sono proposti per far funzionare meglio e puntare sulla ricerca sarei convinta sulle risposte da dare e sulle scelte necessarie. Purtroppo, visto come le cose “girano” nel nostro paese, devo ammettere che la fiducia sul fatto che gli amministratori vogliano e possano migliorare e snellire le cose e non semplicemente tagliare e’ nulla…mentre lo sconforto cresce…
Grazie comunque Paolo per il tuo impegno serio e continuo!
Io temo che questa “boutade” pazzesca sia solo l’inizio e ne vedremo delle belle tra un paio di mesi quando verrà proposta la nuova spending review… Spero di sbagliarmi.
Il terzo quesito pone una questione a mio parere fondamentale. Stato giuridico per i ricercatori e, di conseguenza, unica tipologia di lavoro con conseguente possibilità di interscambio reale tra mondo della didattica e quello della ricerca, sono aspetti irrinunciabili se si vuole veramente portare il settore della ricerca negli standard europei e internazionali. Un lavoro quello del ricercatore che è vessato da norme non consone a un mestiere intellettuale; norme che hanno la sola funzione di coprire chi vuole imboscarsi (“sono un buon ricercatore se ho timbrato un cartellino, non se produco ricerca”).
Gli argomenti dei due primi quesiti sarebbero da valutare in base a proposte concrete e a cosa il governo è disponibile a mettere sul piatto. Se pensano di fare l’ennesima riforma a costo zero sarà un altro fallimento. Eventuali risparmi devono programmarsi su lungo termine (e ce ne sarebbe modo, se solo si snellisse l’atroce burocrazia e i mille modi di fare le stesse cose, dai pagamenti degli stipendi alla gestione delle missioni), ma a breve termine occorrono risorse se si vuole veramente riformare e non fare l’ennesima operazione di facciata.
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