Università, esodati della ricerca pronti alla mobilitazione

Fonte: Lettera 43

 

 

Nel 2014 lasciati a casa in 200. Saranno migliaia dal 2015. Federico, geologo: «Nessuna speranza, mi resta solo la fuga». Scuola, l’Ue ci obbliga ad assumere.

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26 Novembre 2014

Federico Di Traglia è uno dei primi «nodi al pettine».
Sapeva che il suo momento sarebbe arrivato, ma non immaginava così presto.
Con 10 mesi di anticipo, perché l’università, dunque lo Stato, gli vieta anche di svolgere l’ultimo, a quanto pare scomodo, periodo di ricerca. Cioè un anno di contratto, vinto per concorso, che comunque avrebbe dovuto interrompere due mesi prima, alla scadenza improrogabile del massimo di quattro anni prevista dalla legge 240 Gelmini per gli assegnisti di ricerca post-dottorato.
L’EUROPA CONDANNA L’ITALIA. Esodato prima del tempo. Nel 2014 si stimano più di 200 lavoratori dell’università nelle sue condizioni. Per ora la Corte di giustizia Ue ha condannato l’Italia ad assumere 250 mila precari della scuola. L’università resta un rebus.
Per legge gli assegni di ricerca sono rinnovabili annualmente, con una durata tra uno e tre anni. E, nel percorso, capita, come a Federico, di interromperne uno, magari perché si è vinto un assegno migliore, restando poi con dei mesi scoperti.
ESPLOSIONE A SCAGLIONI. Agli assegnisti a fine termine, l’Università di Padova ha impedito l’accesso a nuove selezioni. E nel 2015-2016, con in scadenza i circa 14 mila assegni del biennio 2011-2012, migliaia di precari degli atenei saranno in strada o costretti a emigrare all’estero.
I dati del Miur, il ministero dell’Università e della ricerca, sono chiari: come per la scuola, il bubbone degli esodati esploderà a scaglioni. Dei circa 75 mila precari della ricerca, gli atenei ne assorbiranno a malapena il 70%.
Prima l’esodo di massa degli assegnisti di ricerca: un blocco di 5-6 mila uscite l’anno. Poi, un gradino sopra, gli oltre 2.500 ricercatori a termine con il massimo di cinque anni.
Infine, nel 2022, l’ultima mannaia al limite di 12 anni (tra dottorato, assegni di ricerca, ricercatori e termine) da precario nelle università.
IN STRADA FINISCONO I GEOLOGI. Coincidenza vuole che Federico, l’esodato accademico numero uno, venga dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze che, anche a fini di ricerca, cura bollettini e mansioni della Protezione civile. Per intendersi, un geologo che, con altri addetti ai lavori, protegge l’Italia da terremoti e alluvioni.
Di precari così l’università, le aziende, la società, il Paese hanno un bisogno enorme e vitale. Ma anziché stabilizzarli, la cosiddetta legge di Stabilità di Renzi aumenta le espulsioni, aggiungendo precarizzazione al precariato.

L’esercito di ricercatori precari al posto di ordinari e associati

Peggio della selezione della specie c’è solo la guerra tra poveri. E l’università italiana va in questa direzione.

A 32 anni, un dottorato, e 38 mesi di ricerca, Federico ha consegnato il suo curriculum accademico a «un avvocato», sperando di recuperare i 10 mesi pendenti. E di aggiudicarsi poi, per concorso, una delle borse di ricerca introdotte dall’ex ministro Francesco Profumo.
Una borsa significa minore compenso («il massimo non può superare il minimo dell’assegno») e zero tutele. Neanche il simulacro dei contributi previdenziali (27%) versati, in gestione separata, con gli assegni di ricerca.
«L’obolo per la fantomatica pensione non ci dà ferie, malattie e neanche disoccupazione. Elsa Fornero ci ha tolto anche l’una tantum di Giulio Tremonti, perché gli assegni di ricerca, in media 1.400 euro al mese, non sono imponibili Irpef», spiega a Lettera43.it Federico.
TOLTI I RICERCATORI A VITA. Se in giro non ci saranno borse compatibili con il suo percorso di ricerca, l’alternativa è accaparrarsi uno dei (pochi) posti da ricercatore a tempo determinato. «In pratica altri cinque anni da precario dell’università senza sbocchi, fare il pizzaiolo o», ironizza, «andare all’estero, almeno ci pagassero un biglietto aereo!»
Nel 2010 Gelmini spacciò l’abolizione del ricercatore a tempo indeterminato come viatico per sbloccare il turn over delle cattedre universitarie da associato: la cosiddetta carriera del merito che avrebbe tolto i 40enni choosy dai parcheggi nell’ateneo.
In realtà, nel solco dei tagli di Letizia Moratti, la legge 240 sulla «riorganizzazione dell’università» è servita solo a sfoltire la pletora di studenti prima e di aspiranti docenti degli atenei poi, infarcendo l’università di precari.
Con la crisi, i risparmi dai pensionamenti dei professori ordinari sono stati investiti nel «risanamento» degli atenei e non nelle assunzioni a ruolo dei professori associati. Più costosi dei borsisti. Degli assegnisti. Dei ricercatori a tempo determinato. E anche dei docenti a contratto a titolo gratuito.
TURN OVER BLOCCATO. Dal 2008, ci sono 10 mila professori in meno, il 30% in meno di ordinari e il 17% di associati.
«Sei anni fa, i ricercatori passati ad associati erano 2.200, oggi 700», calcola Nicola Casagli, ordinario di Geologia applicata all’ateneo fiorentino che guida il team di ricerca di Di Traglia.
Anziché stabilizzare, si alimenta il circuito precario dei ricercatori, tagliando per assurdo i fondi alla ricerca. «Il Miur non ci dà più quasi nulla. I governi preferiscono finanziare gli armamenti, piuttosto che la tutela contro il dissesto idrogeologico. Come altre facoltà», racconta il professore.
«Cerchiamo fondi in proprio. Piccoli bandi delle amministrazioni locali. O, piuttosto, i più sostanziosi progetti europei. Il 20% dei fondi ormai viene da lì, conviene cercare fuori l’Italia».

L’emendamento della legge di Stabilità che accontenta i baroni

Vedere «cambiare verso» all’università è una chimera anche con Renzi.

Nella legge di Stabilità, il suo governo ha introdotto un emendamento capestro alla normativa con la quale l’ex ministro Profumo – ancora lui – aveva tentato di mettere una pezza sugli esodati in vista all’orizzonte.
A ogni pensionamento di un ordinario sarebbe necessariamente dovuto corrispondere l’ingresso di un Rtd di tipo B: l’élite dei circa 250 ricercatori a tempo determinato, reclutati non in base a un progetto (come i quasi Rdt 2.400 di tipo A), ma nella prospettiva dell’abilitazione scientifica per la promozione al ruolo di associato.
Come chiesto dai rettori, la finanziaria di Renzi vuole invece far decadere il vincolo B – nel sistema a punti degli atenei i contratti dei ricercatori più onerosi -, sdoganando così le università come hub di precari malpagati. In continua entrata e uscita, e ostaggio del solito pugno di intoccabili baroni.
METTONO PRECARI CONTRO PRECARI. «Vogliono mettere i ricercatori A contro i B, gli assegnisti contro i ricercatori. Ma la nostra è una battaglia per tutti. Per un’università di qualità che dia un futuro giovani. Così invece si sfornano solo cervelli a basso costo per le università straniere. Con l’emendamento a tradimento», spiega Francesco Fidolini, geologo 33enne e collega di Federico che ha lanciato la mobilitazione nazionale, «si finge di dare spazio ai precari, ma in realtà si usano per risparmiare e poi espellono».
Tanta è la voglia di disfarsi dell’esercito di assegnisti a termine che una norma impedisce loro addirittura di frequentare corsi di laurea e master. «Incredibile, siamo l’unica categoria alla quale è precluso il diritto alla formazione universitaria. Vogliamo credere sia una svista o un errore di trascrizione», commenta.
NON RESTA CHE LA FUGA ALL’ESTERO. Assurdo dell’assurdo, il termine dei quattro anni di ricerca vale infine ‘solo’ per gli assegnisti «basati in Italia». Gli stranieri, o chi ha svolto dottorati e ricerca all’estero, può tranquillamente presentarsi e vincere i concorsi. Banditi dalle università, gli italiani devono invece fare le valigie per Oxford, Cambridge o volare Oltreoceano.
«Dicono di volere un’università all’americana, dove pure i precari – ricercatori che dovrebbero stimolare la ricerca per poi andare a lavorare altrove – sono molti di più. Ma con norme stupide vanno nella direzione opposta», commenta Casagli.
«Così non si crea un percorso accademico per i meritevoli. Con la crisi, poi, fuori è tutto bloccato. Fino al 2010, il 93% del mio team trovava lavoro in aziende pubbliche o private. Solo il 10% andava all’estero».
LAVORATORI MASCHERATI. Finché dura, oggi i laureati specializzati finiscono invece, impropriamente, per svolgere servizio pubblico alla cittadinanza attraverso incarichi precari alle università: un’altra stortura di sistema.
In pochi lo sanno, ma Federico, ad agosto, era a controllare che Stromboli non eruttasse. «Siamo riuniti nell’Adi, l’associazione di dottorandi e dottori, e nell’Apri, i precari della ricerca. Ma dobbiamo sempre spiegare chi siamo. Sulle prime il nostro contratto è un ignoto anche ai sindacati».
La Flc (Federazione lavoratori della conoscenza) della Cgil li appoggia nella mobilitazione. Il 28 novembre prima riunione d’ateneo tra esodati a Firenze. Poi campagne di strada e sui social.

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