di Marzio Bartoloni
«Bisogna tornare a rendere la ricerca pubblica italiana un posto attraente per i nostri cervelli e per quelli che dall’estero guardano all’Italia e vorrebbero venire nei nostri centri di eccellenza. Per farlo non bastano però solo i fondi in più, serve anche creare le condizioni per farli lavorare dando loro la possibilità di formare un proprio team di ricerca o di spendere liberamente i fondi a disposizione; ma per fare questo dobbiamo alleggerire le macchine dei nostri enti di ricerca dai troppi lacci e lacciuoli e dai tanti vincoli e dalla burocrazia che derivano dal fatto di rientrare nel perimetro della pubblica amministrazione e che oggi impediscono a un giovane ricercatore di fare carriera e soprattutto di muoversi da un ateneo a un centro di ricerca per fare esperienza e crescere». Massimo Inguscio è in sella al più grande ente scientifico italiano, il Consiglio nazionale della ricerca, da poco più di un mese e vede uno dei mali maggiori della ricerca pubblica italiana nell’ingessamento che rinchiude i nostri ricercatori dentro la gabbia di un “posto fisso“ dove si resta per tutta la vita lavorativa. E invece la mobilità per uno scienziato che ha bisogno di stimoli e continui confronti con i colleghi è cruciale, «soprattutto da giovani quando si hanno anche meno vincoli familiari», avverte Inguscio. Che da fisico, nato a Lecce e formatosi a Pisa prima all’università e poi alla Scuola Normale, ha girato praticamente tutta l’Italia da Nord a Sud con diverse incursioni all’estero…
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