17 Maggio 2016
Alla Ministra della Funzione Pubblica, On. Marianna Madia
Alla Ministra dell’Università, Istruzione e Ricerca, Sen. Stefania Giannini
Onorevoli Ministre,
come membri eletti dei CdA dei principali Enti di Ricerca vigilati dal MIUR stiamo seguendo con estrema attenzione la genesi del Decreto Legislativo di attuazione della delega conferita al governo dall’art.13 della Legge 124/2015 in materia di semplificazione delle attività degli Enti Pubblici di Ricerca. Dopo il documento di lavoro preparato dal COPER, nelle ultime settimane è circolata una bozza ministeriale, che implementa gran parte delle proposte ricevute, ma contiene alcuni elementi nuovi in particolare per quello che riguarda il ruolo dei ricercatori e dei tecnologi. Nell’esprimere un sostanziale apprezzamento per l’impianto della bozza circolata, come rappresentanti delle comunità scientifiche negli organi di governo degli EPR riteniamo doveroso fornire un contributo utile a rendere più moderno e competitivo il sistema della ricerca pubblica. Ci stanno a cuore in particolare la valorizzazione dei principi della Carta Europea dei Ricercatori, l’equilibrio nella nuova articolazione delle fasce funzionali, le misure volte a contenere il fenomeno del precariato. Nel seguito presentiamo alcune considerazioni e proposte, che per comodità di lettura elenchiamo in sintesi:
- Semplificare e favorire la mobilità bidirezionale fra EPR e Università, definendo il ruolo di ricercatori e tecnologi al comma 2 anziché al comma 1 dell’art.3 del DL 165/01;
- Sanare finalmente la dicotomia contrattuale del personale di ricerca dell’INAF e dell’INGV;
- Richiesta di norme più esplicite e concrete, valide per tutti gli EPR, di recepimento della Carta Europea dei Ricercatori, evitando di demandarla totalmente agli Statuti;
- Richiesta dell’istituzione di un organismo di rappresentanza ufficiale di ricercatori e tecnologi, in analogia col CUN;
- Forte preoccupazione per la sorte dei numerosissimi ricercatori attualmente nel terzo livello e proposte concrete per favorirne il passaggio alle fasce successive;
- Richiesta di una più attenta considerazione della proporzione fra prima e seconda fascia;
- Forte preoccupazione per il rischio di un perpetuarsi del fenomeno del precariato di lunga durata e suggerimento di misure dedicate.
Ci auguriamo che vorrete considerare attentamente, insieme ai vostri collaboratori, le valutazioni che esprimiamo di seguito, e restiamo a disposizione per approfondirne i dettagli e le possibili applicazioni normative, anche nell’ambito di un dibattito dedicato che intendiamo stimolare nelle prossime settimane.
Abbiamo accolto con generale soddisfazione, la scelta coraggiosa di non limitarsi a definire il ruolo dei ricercatori e dei tecnologi, ma dare ad essi un vero e proprio stato giuridico, inserendoli fra le categorie elencate all’art.3 comma 1 del DL 165/2001. Tale scelta affronta finalmente un nodo irrisolto, per il quale da decenni le figure chiave della ricerca pubblica sono definite esclusivamente nel contratto di lavoro, senza che la legge ne tuteli in alcun modo gli specifici diritti e doveri improntati ad una forte autonomia, come sono individuati nella Carta Europea dei Ricercatori. Tale situazione sancisce una grave asimmetria con la docenza universitaria, la cui sinergia con gli Enti di Ricerca è da sempre l’elemento qualificante del sistema ricerca.
Condividendo dunque l’obiettivo degli estensori del decreto delegato, riteniamo però che senza una revisione di alcuni punti gli effetti auspicati potrebbero essere vanificati o addirittura sovvertiti:
- nell’ottica di favorire la simmetria fra i ruoli di ricercatori e tecnologi degli EPR e quelli della docenza universitaria, è preferibile inserire ricercatori e tecnologi al comma 2 dell’art.3 del DL 165/01, come appunto i docenti universitari, anziché al comma 1, dove sono invece collocati i diplomatici ed i prefetti, la cui attività ha poco a che spartire con quella della ricerca. In tal modo sarà facilitata per esempio l’introduzione delle norme che favoriscano la mobilità, anche temporanea, fra Enti ed Università, oggi prevista solamente nel Decreto del Ministro IUR n.24786 del 27-11-2012 ed utilizzata marginalmente. Una regolamentazione per legge è invece indispensabile a garantire il funzionamento di uno strumento fondamentale nella sinergia fra le due reti della ricerca pubblica.
- la nuova normativa offre anche l’occasione di sanare le differenze contrattuali del personale di ricerca ancora presenti nell’INAF e nell’INGV. Di fronte ad una forte simmetria con la docenza universitaria il problema è facilmente superabile, ma è opportuno introdurre nel decreto una norma ad hoc.
- Il recepimento della Carta Europea dei ricercatori, nella bozza circolata, è affidato agli Statuti ed ai regolamenti degli Enti di Ricerca, con linee guida del tutto generali. Tale scelta è debole e lascia spazio a ulteriori difformità fra i diritti ed i doveri dei ricercatori e dei tecnologi in Enti diversi. Da questo punto di vista il documento di lavoro del COPER era molto più puntuale e concreto. A più di 10 anni dalla pubblicazione della Carta Europea, pare che nessuno si sia ancora reso conto che essa prevede diritti e doveri non solo dei ricercatori, ma anche dei loro datori di lavoro. Un paese che intenda fare della ricerca un settore strategico non può non dotarsi di una legge che stabilisca in concreto quali figure professionali e quali Istituzioni devono uniformarsi ai principi della Carta ed in quali termini. Questo decreto delegato è l’occasione giusta per farlo.
- le due nuove categorie di ricercatori e tecnologi degli Enti Pubblici di Ricerca mancano totalmente di un organismo di rappresentanza, quale è invece il CUN per il mondo universitario. Peraltro nella bozza del decreto si assegna giustamente un ruolo di consulenza del Ministro IUR alla Consulta dei Presidenti degli EPR, in modo analogo alla CRUI, i cui membri sono però eletti da ciascun Ateneo, mentre i membri del COPER sono di nomina ministeriale. Appare quindi ancor più necessario un organismo di rappresentanza delle professionalità della ricerca che possa comunicare direttamente al Ministro problemi e proposte.
- Ci rendiamo conto che l’obiettivo della simmetria con l’università impone la scelta di articolare in due sole fasce funzionali i ruoli di ricercatore e tecnologo, mettendo ad esaurimento l’attuale terzo livello ed introducendo un accesso via “tenure track” analogamente a quanto avviene per i ricercatori universitari di tipo B (legge 240/2010 art.24, comma 3, lettera b)). Tuttavia non possiamo non rilevare quanto questa misura sia dolorosa in considerazione dell’altissima percentuale di ricercatori terzo livello presenti attualmente negli EPR (sfiora il 70% nei soli Enti vigilati dal MIUR, situazione incomparabilmente più pesante di quella affrontata dalle università al momento delle messa ad esaurimento dei ricercatori universitari con la legge 230/2005), i quali, a causa della scarsità delle risorse disponibili, in massima parte non hanno mai avuto la possibilità di partecipare ad un concorso per accedere ai livelli superiori, pur avendo raggiunto in moltissimi casi una professionalità riconosciuta a livello internazionale. Tale situazione crea inoltre forte imbarazzo proprio nella partecipazione a bandi competitivi europei o internazionali, per i quali gran parte dei ricercatori italiani ha un curriculum del tutto adeguato, ma un ruolo accademico insufficiente. La riserva del 30% dei posti banditi per le nuove fasce 1 e 2, prevista nella bozza del decreto circolata, è a nostro giudizio una misura assolutamente insufficiente e inefficace se non accompagnata da strumenti che permettano agli Enti di reperire le risorse necessarie, visto che la maggior parte degli EPR impegna già la quasi totalità del finanziamento pubblico in spese di personale ed infrastrutture. Questo punto richiede sicuramente un maggiore approfondimento, ma in prima battuta ci sentiamo di suggerire:
- Appare incoerente mantenere un accesso alla seconda fascia per concorso esterno, una volta che si sia introdotta la tenure track (e si abbia comunque lo strumento della chiamata diretta). Il rischio altissimo è che questo ulteriore canale di accesso favorisca il perdurare di forme di precariato a lungo termine;
- Anche una riserva del 50% dei nuovi posti di seconda fascia per selezioni riservate agli attuali ricercatori terzo livello ci appare insufficiente a riconoscere la loro elevata professionalità media, in considerazione del comunque esiguo numero di nuovi posti che gli Enti possono bandire rispetto alla platea degli attuali ricercatori terzo livello. L’unica possibile risposta a questo problema richiede un piano straordinario di concorsi riservati, che da una parte riconosca da subito gli effetti giuridici dell’accesso alla seconda fascia ai vincitori, e dall’altro diluisca nel tempo il costo degli effetti economici in modo che gli Enti li possano inserire utilmente nei propri Piani Triennali. Una successiva iniezione di risorse dedicate, da prevedere nelle sedi opportune, permetterebbe un più rapido ed efficace assorbimento: per le università, subito dopo l’entrata in vigore della riforma Gelmini, fu previsto uno stanziamento ad hoc nel FFO per finanziare un piano straordinario di assunzioni di professori di seconda fascia (Legge 220/2010, art.1 comma 24).
- Riteniamo invece più opportuno, rispetto a quanto prefigurato nel decreto, prevedere una riserva complessiva del 50% per chi proviene sia dal terzo livello che dalla seconda fascia nei concorsi per l’accesso alla prima fascia.
- Nella bozza di decreto si impone un limite alla popolazione della prima fascia pari al 30% della popolazione della seconda, che calato nella situazione attuale sarebbe molto penalizzante. Riteniamo che gli estensori del decreto abbiano pensato questo limite per la situazione a regime, ma attualmente non è possibile dimenticarsi che la stragrande maggioranza di ricercatori e tecnologi occupa il terzo livello. Riteniamo quindi indispensabile riferire il limite percentuale alla somma di seconda fascia e terzo livello ad esaurimento. Rileviamo che per la docenza universitaria è stata fissata una molto più favorevole proporzione di 1:1 fra prima e seconda fascia (DL 49/2012, art.4 comma2).
- Malgrado la bozza circolata del decreto metta effettivamente ordine fra i contratti a tempo determinato per ricercatori e tecnologi, distinguendo chiaramente quali possono dare accesso al ruolo a tempo indeterminato e quali invece debbano necessariamente risolversi al più entro 5 anni, riteniamo che manchino misure incisive che mettano un limite al fenomeno del precariato di lunga durata, alimentato dalla possibilità di concedere contratti sempre diversi alla stessa persona. Tale fenomeno non è solamente degradante per chi vi partecipa, ma denota anche una grave carenza di programmazione negli Enti che la praticano, nei quali gli impegni in progetti di ricerca sono evidentemente sovradimensionati rispetto alle risorse umane disponibili. L’unico modo virtuoso di offrire contratti di ricerca a tempo determinato è evitare che si reiterino (anche con tipologie diverse), facendone così uno strumento utile a portare negli EPR sempre nuovi giovani italiani e stranieri che contribuiscano per un periodo con la loro creatività e preparazione, ma senza per questo doverli necessariamente assorbire. Ci rendiamo conto che è un punto delicato, in considerazione del fatto che c’è prima di tutto un volume di precariato pregresso che non si può cancellare con un colpo di spugna ma richiede risposte concrete. Allo stesso tempo però servono norme coraggiose per i futuri contratti, che impediscano il perpetuarsi del fenomeno.
Ringraziandovi per l’attenzione, vi salutiamo cordialmente
I membri eletti dalle comunità scientifiche nei CdA dei rispettivi Enti di Ricerca:
Enrico Cappellaro (INAF)
Serena Fonda (Stazione Zoologica Anton Dhorn)
Stefano Giovannini (INAF)
Roberto Gomezel (INFN)
Silvestro Greco (OGS)
Vito Mocella (CNR)
Antonio Passeri (INFN)
Nicola Alessandro Pino (INGV)
Giulio Selvaggi (INGV)
Cari rappresentanti, caro Antonio,
ho un paio di commenti:
1) quando chiedete che per noi ricercatori ci sia un riferimento al ” comma 2 dell’art.3 del DL 165/01, come appunto i docenti universitari, anziché al comma 1..” vi rendete conto che quel comma e’ stato scritto ad hoc per un ruolo che prevede la docenza (e che quindi rimanda alle opportune salvaguardie costituzionali)?
So che la domanda a voi suonera’ retorica, ma cosi’ potrebbe non essere per molti lettori. Quindi mi piacerebbe che spiegaste questo punto.
2) (e qui la domanda la estendo anche alla FLC ed ai sindacati). Visto che esiste un problema -reale- relativo al personale TA, mi chiedo come e’ inquadrato (ad oggi) il personale TA che lavora -ad esempio- nei Tribunali. Si tratta (spesso) anche li di competenze molto particolari e sarei interessato a sapere se costituiscono aree separate, o dove comunque si recepisce la loro specificita’.
3) last but not least. Il nostro personale TA sarebbe inquadrato separatamente? Che ruolo vi immaginate dovrebbe avere in un eventuale organo di autogoverno ?
ciao
grazie dell’attenzione
Giorgio
Caro Giorgio, grazie delle domande.
1) la bozza circolata è veramente molto preliminare, in alcuni punti lacunosa, ed è chiaro che gli uffici legislativi dei ministeri dovranno fare un grosso lavoro per integrarla e correggerla. Che ricercatori e tecnologi vadano al comma 2 piuttosto che al comma 1 è stato riconosciuto da più parti per evidente “affinità” alla docenza universitaria. Non sono un giurista, ma la fonte costituzionale è l’art.33 che prima di tutto dichiara libere l’arte e la scienza ed il loro insegnamento. Nota bene: l’arte e la scienza (anche senza insegnamento) sono libere, e ne è anche libero l’insegnamento. Non c’e’ quindi un vincolo specifico alla docenza. Inoltre, l’ultima frase dell’art.33 dice che “le istituzioni di alta cultura, università e accademia, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”. Ripeto, non sono un giurista, ma non sono il solo a dire che gli Enti di Ricerca sono a tutti gli effetti Istituzioni di alta cultura, ed è proprio per questo che li si vuole sottrarre allo stretto perimetro della PA, renderli appunto più autonomi. In ogni caso non credo basterà aggiungere ricercatori e tecnologi al comma 2 del DL 165, ma probabilmente servirà includere qualche altra parola di chiarimento: lasciamo lavorare gli esperti.
2) non ti so rispondere. Quello che so è che nello scenario attuale il personale TA sarà contrattualizzato nel comparto “scuola-università e ricerca” e che sarà compito dei sindacati valorizzarne al massimo la professionalità. A mio giudizio (ripeto che non sono un giurista) ci sarebbero anche i margini di dare una qualche forma di ordinamento autonomo anche al personale TA delle “istituzioni di alta cultura”, ma credo che lo stesso personale ritenga più sicuro mantenere le tutele del contratto collettivo. Forse però aiuterebbe a valorizzare le professionalità in questione una qualche forma soft di definizione delle stesse nel decreto. Ma sono valutazioni che lascio ai sindacati.
3) Per quanto si è capito finora, il decreto delegato non richiederà necessariamente rivoluzioni negli statuti degli Enti. Si cambiano delle regole di contorno, ma non l’organizzazione degli EPR. Quindi non vedo proprio perché dovrebbero cambiare gli attuali meccanismi di rappresentanza previsti negli statuti, anche per il personale TA.
Caro Antonio,
grazie per la risposta. Sul punto 2) in realta’ sarebbe piu’ importante sapere come e’ attualmente inquadrato il personale di supporto alla magistratura (sappiamo bene che il personale TA delle Universita’ e’ completamente separato dalla docenza).
Sul punto 3) mi riferivo al ruolo del personale TA in un eventuale “CUN equivalente”.
grazie
Giorgio