Sono tornati ad acuirsi i contrasti tra i Laboratori azionali del Gran Sasso e le associazioni ambientaliste, in particolare quelle dedicate alla gestione delle acque delteramano. La circostanza scatenante è stato un test di trasporto in bianco (senza carico) avvenuto lo scorso 10 ottobre, durante il quale è stata verificata la correttezza e la sicurezza delle procedure di trasferimento di un generatore di neutrini dalla Russia all’Italia.
Il generatore comprende una sorgente radioattiva prodotta nello stabilimento di Mayak tramite riprocessamento di combustibili nucleari esausti provenienti dalle centrali russe. La sorgente è un composto contenente Cerio-144, incastonato in uno scudo di tungsteno spesso 19 centimetri fabbricato in Cina, di peso superiore alle due tonnellate, che scherma le radiazioni al suo interno. Essa sarà utilizzata in combinazione con il rivelatoreBorexino per condurre l’esperimento Short baseline Oscillation in BoreXino (Sox).
L’esperimento è gestito da una collaborazione internazionale di circa 140 scienziati provenienti da Italia, Francia, Germania, Russia, Polonia e Stati Uniti.
Il team cercherà di risolvere alcune anomalie sui neutrini, particelle di massa bassissima e carica elettrica nulla, che interagiscono molto debolmente con la materia e sono quindi particolarmente difficili da individuare. In particolare, si tenterà di verificare l’esistenza di un ipotetico neutrino sterile, che interagisce con le altre particelle solo tramite la forza di gravità (quindi ancora più debolmente).
Oltre a risolvere i problemi del modello standard della fisica delle particelle, il neutrino sterile potrebbe essere un buon candidato come costituente della materia oscura, componente dominante della massa dell’universo di cui non conosciamo ancora la natura.
A prima vista, l’esperimento può destare preoccupazione nei non addetti ai lavori. Si tratta di una sostanza con un livello diradioattività considerevole (100-150mila Curie); essa andrà posizionata in un tunnel al di sotto di Borexino, un enorme rivelatore contenente 2.400 tonnellate d’acqua e 1.000 tonnellate di trimetilbenzene, un idrocarburo aromatico tossico, molto volatile e altamente infiammabile. Il laboratorio si trova in una zona considerata ad alto rischio sismico e in prossimità di un punto di captazione dell’acqua da cui dipendono 700mila persone.
Nei giorni successivi alla prova di trasporto, la Regione ha deciso di far ripartire l’iter di controlli e richiedere ulteriori autorizzazioni oltre a quelle già ottenute dall’Ispra; sono previsteassemblee e mobilitazioni organizzate dalle associazioni ambientaliste. I Laboratori non godono di eccessiva fiducia dopo l’incidente del 2002 che a causa di un errore umano ha comportato l’inquinamento della rete idrica locale con trimetilbenzene, e i successivi lavori di messa in sicurezza non hanno del tutto convinto la cittadinanza. Nel 2016 sono statetrovate in un pozzo tracce di un solvente usato nei laboratori, e anche se la responsabilità dell’ente di ricerca non è stata provata, ne sono conseguiti disagi per l’approvvigionamento d’acqua nel teramano. Resta un clima di sfiducia, che la scarsa apertura al dialogo con la popolazione locale da parte dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), a cui i laboratori appartengono, probabilmente non aiuta.
Per questi motivi, non è sorprendente che la cittadinanza non sia entusiasta sapendo che è stato programmato un esperimento che coinvolge una fonte radioattiva. Eppure, l’esperimento Sox è sicuro.
La prova di trasporto e movimentazione segue un protocollo di autorizzazione ministeriale previsto per tutte le sostanze irraggiate. Protocollo che ha ricevuto il parere favorevole di ministero della Salute, ministero dell’Ambiente, ministero del Lavoro, ministero dell’Interno (Protezione civile), ministero dello Sviluppo economico e di Ispra. Il particolare percorso (dalla Russia a San Pietroburgo in treno, fino a le Havre in traghetto e da lì su gomma fino in Italia) è stato studiato per minimizzare il numero di controlli doganali, che nel caso di trasporto di materiale radioattivo possono creare lunghi stalli. Attese prolungate possono far perdere al cerio le caratteristiche richieste in termini di emissioni dei neutrini.
La sorgente si trova all’interno di una serie di capsule di rame, le quali a loro volta sono sigillate, senza alcuna apertura, all’interno di una doppia capsula cilindrica in acciaio, che le protegge da fenomeni di corrosione e ossidazione. Il tutto èschermato all’interno del cilindro di tungsteno in modo tale da ridurre la radioattività di circa mille miliardi di volte, perché altrimenti verrebbero meno le condizioni stesse dell’esperimento.
I neutrini sono particelle talmente sfuggenti che per rivelarli è necessario schermare quanta più radioattività possibile, inclusa quella naturale, e devono essere l’unica cosa che esce dall’apparato costituito dalla sorgente e dalla sua schermatura. D’altronde è questo il motivo per cui il rivelatore di neutrini si trova a 1.400 metri di profondità; la roccia del Gran Sasso scherma la radiazione cosmica di fondo a cui siamo quotidianamente soggetti. Borexino si trova in uno dei luoghi meno radioattivi del mondo, ed è così che deve rimanere per funzionare.
Il rivelatore di neutrini Borexino.
Il tungsteno ha la più alta temperatura di fusione dopo il carbonio (oltre 3400 °C) e conferisce alla lega di cui fa parte, contenente ferro e nichel al 5%, un’ottima resistenza meccanica. Questo fa sì che la sorgente di neutrini resti sicura anche a fronte di incendi accidentali, cadute e crolli. Dopo la manovra di posizionamento (che, come quella futura di estrazione, segue un rigido protocollo studiato appositamente) non sono previsti ulteriori interventi per la durata di 18 mesi dell’esperimento, minimizzando la possibilità di errori umanisulla sorgente di neutrini.
Per quanto riguarda infine il problema della sismicità, ricordiamo che anche durante il terremoto dell’Aquila del 2009 i Laboratori non hanno subito danni rilevanti. La struttura e gli esperimenti sono progettati in modo antisismico per proteggere non solo il personale, ma anche equipaggiamenti in alcuni casi estremamente costosi, con materiali difficili da procurare e dall’assemblaggio delicato e complesso. La presenza di materiale potenzialmente pericoloso ha richiesto la stesura di una normativa molto più restrittiva di quella vigente per la normale edilizia, e numerosi esperti hanno effettuato studi di rischio sismico e simulazioni in modo che i laboratori del Gran Sasso possano reggere all’ipotesi più pessimistica di terremoto sulla base dell’evidenza storica valutata sui millenni precedenti. I laboratori del Gran Sasso possono essere dunque consideratiuno dei luoghi più sicuri della zona in caso di sisma.
Di certo non si può escludere a priori il danno intenzionale ma, considerate le difficoltà nel raggiungere la fonte, estrarla, spostarla e smantellare la protezione per esporre il materiale radioattivo, esistono molte alternative decisamente più efficaci per eventuali malintenzionati.