Cingolani (Iit): «Fuga di cervelli? Non è solo questione di soldi. Servono nuove regole di reclutamento»

da: Il Sole 24 Ore

Raoul de Forcade

Per attrarre cervelli in Italia o far rientrare quelli che sono fuggiti all’estero, prima ancora che un incremento delle risorse dedicate alla ricerca scientifica, ci vogliono infrastrutture adeguate ma soprattutto un modello di regole e di reclutamento simile a quello che si trova negli altri Paesi del mondo. A sostenere, con forza, questa posizione è Roberto Cingolani, direttore dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova. Il quale integra e completa così l’opinione sulle fughe di cervelli espressa ieri, sul Sole 24 Ore, da Francesca Pasinelli, direttore della Fondazione Telethon.

«La questione – afferma Cingolani – è il modello: per essere attrattivi e far venire le persone dall’estero, o farle rientrare in Italia, bisogna offrire loro le stesse regole che ci sono nel resto del mondo. Finché noi abbiamo delle regole diverse, non possiamo sperare di essere attrattivi. Ovviamente poi servono più risorse. Però, indipendentemente da queste, se si mantengono regole diverse dalla comunità scientifica internazionale, è difficile che gli altri vengano da noi».

L’Iit, non a caso, ha impostato il suo modello guardando ad altri Paesi. «All’Istituto – spiega il direttore – in questo momento abbiamo 1.600 persone; di queste, circa 350 sono tecnici e amministrativi. Il resto compone lo staff scientifico, che per il 46% viene dall’estero. Di questa percentuale, circa il 16% è composto da italiani che sono rientrati dopo lunghissime permanenze all’estero. Gli altri sono stranieri che vengono da 60 nazioni. E su 70 principal investigator, che sono i capi ricerca, 25 hanno vinto un Erc (European research council grant); molti di questi vengono da fuori e sono venuti a spenderlo all’Iit». Cingolani si riferisce al fatto che, chi vince un Erc, prende una sovvenzione da diversi milioni e con questa può decidere dove andare a far ricerca. Gli italiani, quest’anno, sono stati i secondi, dopo i tedeschi, per numero di vincite e la maggior parte ha deciso di usare l’Erc all’estero. Dia qui l’allarme sulla fuga di cervelli, con un’Italia che prima li addestra e poi li perde.

«Nelle ultime settimane – sottolinea Cingolani – ricercatori dell’Iit hanno vinto un Erc e sono rimasti con noi. In più stanno arrivando vincitori di Erc da Spagna e Uk. E sebbene l’Iit rappresenti una percentuale esigua nel complesso nazionale dei centri di ricerca, tuttavia è la dimostrazione che, volendo, si può attrarre, o far rimanere, i cervelli in Italia».

Per portare scienziati e ricercatori nel Paese, prosegue Cingolani, «al di là di tutto, c’è la questione di offrire un modello di funzionamento che sia uno standard internazionale. E finché questo non succede è inutile che ci lamentiamo. Le risorse ovviamente non sono mai abbastanza e devono essere aumentate, però devono essere anche adeguate le regole di reclutamento e del dottorato, per creare un carriera da ricercatore che sia attrattiva. Per farlo si può guardare ai modelli che ci sono in Europa e in altri Paesi e semplicemente li imitarli. L’Iit fa questo e i risultati possono non piacere ai baroni della ricerca. Però i numeri dicono che la cosa funziona. E conosco tantissimi colleghi in università e in altri istituti che pensano ci voglia un nuovo meccanismo di reclutamento dei ricercatori». In Italia, nella maggior parte dei casi, dice Cingolani, c’è il sistema del «concorso che esce in Gazzetta Ufficiale. E tutti sanno che ogni tanto dà qualche problema. Senza contare che la Gazzetta è in italiano, poco fruibile dagli stranieri. Non è poi che in Italia ci sia una valutazione particolarmente attenta di quello che viene fatto nella ricerca. Anzi, sovente, e questo mi meraviglia un po’, la valutazione viene perfino contestata. Quando la Anvur (agenzia di valutazione del sistema universitario, ndr) si muove ci sono sempre molte polemiche. Invece valutare è fondamentale in questo settore. Non può accadere che, nel momento in cui uno è entrato nel mondo della ricerca, nessuno controlli più cosa fa. È fondamentale anche per il ricercatore avere un meccanismo che grantisca che quello che viene fatto sia analizzato. Nel nostro Paese, infine, anche la mobilità è bassissima. Uno si laurea in un posto e lì rimane: fa un gruppo con i suoi studenti, e alla fine c’è una chiusura che va nella direzione opposta di quel che avviene altrove. Bisogna fare un cambiamento culturale».

Nel mondo, e il sistema è applicato anche all’Iit, chiarisce Cingolani, «per reclutare ai livelli più alti, cioè i principal investigator, si fa un bando aperto internazionale e poi si costituiscono dei panel di esperti, che possibilmente non lavorino nello stesso Paese, in modo che non ci siano conflitti di interesse. Questi valutano le candidature, che vengono da tutte le parti del mondo, e scelgono. Bisognerebbe sempre fare una politica che scoraggia la carriere interna, per dare grande mobilità anche alle persone migliori. Ai ricercatori dobbiamo offrire un meccanismo di reclutamento, un ambiente di lavoro, un sistema che siano paragonabili a quello dei Paesi più avanzati ed è questo che in Italia abitualmente non si fa». Però, conclude Cingolani, «anche il nostro Paese si sta adeguando e, visto che il modello dell’Iit di Genova funziona, potrebbe essere interessante esportarlo in qualche altra realtà. Anche se non è sbagliato neppure pensare di andare in parallelo su più di una strategia e metterle in atto in ambienti scientifici diversi, in modo da essere più attrattivi».

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