di Roberto Battiston, da Huffington Post
Sospesi in uno strano agosto dominato da una profonda incertezza sul futuro del paese, assistiamo con preoccupazione all’aggravarsi dei tipici rallentamenti del periodo estivo, esposti alla paralisi pre-crisi.
Un decreto essenziale, come quello della ripartizione del finanziamento degli enti di ricerca per il 2019 da parte del MIUR, non inizierà il suo percorso parlamentare e potrebbe venire riscritto da un possibile nuovo Governo, in un contesto economico che con l’avvicinarsi della fine dell’anno diventa sempre più critico per quanto riguarda le risorse. Non stiamo parlando di contenuti innovativi, non è questo il caso: si tratta però dell’impalcatura su cui si basa l’operatività dell’intero settore della ricerca pubblica, inclusi il completamento delle procedure di assunzione di migliaia di ricercatori, in particolare del CNR e dell’INAF, messe in cantiere dai governi precedenti a fronte di una situazione non gestita da troppo tempo, o gli interventi urgenti di messa in sicurezza dei Laboratori del Gran Sasso dell’INFN, riferimento mondiale della ricerca italiana, che rischia la chiusura. Lo stesso per quanto riguarda altri provvedimenti che riguardano la scuola e l’università.
Nei prossimi quattro mesi abbiamo importanti appuntamenti internazionali collegati al mondo della ricerca e dell’innovazione e che espongono l’Italia a stretti confronti, collaborativi e competitivi, con partner importanti, su contesti di assoluta rilevanza.
Ad esempio a fine ottobre si tiene a Pechino la decima edizione della settimana della ricerca e tecnologia Italia-Cina, appuntamento importante, considerati gli stretti rapporti tra i due paesi, confermati dalla recente visita di Xi Jinping a Roma lo scorso marzo e l’accordo siglato relativamente al progetto Belt and Road.
A fine novembre si tiene a Madrid il Consiglio Ministeriale dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), appuntamento decisivo per la partecipazione italiana al programma spaziale europeo, da cui dipende il futuro della nostra industria spaziale, un settore in cui l’Italia ha investito molto e che potrebbe soffrire di una mancanza di regia nazionale. Come ho potuto verificare quando sono arrivato all’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) nel 2014, l’Italia si era trovata in una difficile congiuntura istituzionale alla Ministeriale dell’ESA nel 2012 a Napoli, con effetti negativi per la nostra industria che sono durati per anni e che ci hanno tagliato fuori dal settore delle telecomunicazioni satellitari diventato monopolio dell’industria franco-tedesca. Un incertezza che ci è costata cara.
C’è poi la partita della Commissione Europea, che comprende la trattativa sui 110 miliardi di euro dedicati alla ricerca e i 16,5 miliardi dedicati allo spazio. Le discussioni con i vari paesi per la definizione dei prossimi Commissari Ue e per la strutturazione delle relative deleghe sono molto avanzate, ma come è noto il nostro paese si trova in una imbarazzante incapacità decisionale, mentre gli altri paesi che hanno già espresso le loro preferenze. È già partita da tempo la lunga trattativa sugli alti funzionari e capi di gabinetto a Bruxelles, figure che possono giocare ruoli molto importanti: si tratta di negoziazioni complesse che richiedono tempo ed una efficace azione istituzionale. La situazione che si cristallizzerà a fine anno durerà per cinque anni: è pleonastico sottolineare che l’ Italia parte in salita e che non c’è tempo da perdere.
Può apparire sorprendente parlare di ricerca in un momento come questo, considerate le emergenze del paese, ma sono convinto che se questi temi uscissero da considerazioni emergenziali e diventassero un bene condiviso sarebbe un progresso che ci salverebbe da molte altre emergenze.
L’ansia di ritorni immediati in termini di annunci, di visibilità o nell’imprimere il proprio marchio politico sul sistema, legano troppo spesso il mondo della scuola, dell’università e della ricerca alle contingenze politiche. Concentrando gli sforzi in un maquillage su questioni di dettagli appariscenti, o, come abbiamo potuto sperimentare in modo sistematico in questo ultimo anno, proprio nel settore della ricerca – che dovrebbe essere quello in grado di esprimere una maggiore autonomia dalla politica-, all’accaparramento di posti connessi a potere decisionale.
Quello da cui dovrebbe partire una nuova stagione dovrebbe invece essere una riflessione condivisa sui fondamentali. Dobbiamo chiederci, e rispondere, con una convinzione e una onestà intellettuale giustificata dal fatto che discutiamo del futuro di questo paese, di quali avanzamenti collettivi e di quali punte di eccellenza ha bisogno il paese per risalire dalla desolazione della stagnazione economica, dal colpevole nostro isolamento dal quadro delle nazioni più innovatrici, dalla fuga di giovani preparati e ambiziosi che arricchiscono con le loro competenze i nostri competitori.
Siamo un paese che nel Dopoguerra ha fatto una battaglia contro l’analfabetismo, imponendo l’istruzione di base obbligatoria e garantita per tutti, sostenendo, almeno all’inizio, la formazione professionale e creando le condizioni per l’accesso all’istruzione superiore e all’università pubblica. È anche grazie all’istruzione che è ripartita l’Italia del Dopoguerra; anzi, ogni risorsa non investita in formazione ha avuto costi sociali probabilmente molto più alti di quello che abbiamo risparmiato. Un tasso minore di diplomati o di laureati, lo paghiamo ogni volta che ci confrontiamo, a livello istituzionale, commerciale, industriale, con i paesi europei in cui questo tasso è magari due volte più alto. La crisi economica ha accentuato il fatto che solo le persone al di sopra di un certo reddito possono permettersi di mandare i figli all’università oppure di supportarli nell’ingresso nel mondo del lavoro: conseguentemente si è fermato l’ascensore sociale legato alla formazione di una professionalità elevata. Ascensore che ha contribuito alla crescita economica dell’Italia del Dopoguerra: la sua mancanza ha dei costi sociali elevatissimi contribuendo tra l’altro all’emorragia di giovani italiani che vanno all’estero senza più tornare.
I tagli alle risorse per l’istruzione scolastica, come è successo nella proposta di legge di stabilità presentata in giugno, vengono ripagati dalla comunità con gli interessi, in infinite occasioni quotidiane. L’inefficienza gestionale, amministrativa, lo scarso senso civico, perfino la corruzione, devono molto alla mancanza di istruzione. L’ignoranza non è mai un bene, è utile solo per essere sfruttata, politicamente, ma anche economicamente. Il fatto che nel 2018 il gioco d’azzardo abbia fatturato sui 107 miliardi di euro e sia la seconda industria italiana dopo quella alimentare, con 140 milardi di euro, probabilmente non è casuale. La cultura non solo è un tratto distintivo di un paese in cui è gradevole vivere, ma ha anche un diffuso valore economico, incalcolabile ma non per questo senza valore.
Alcune battaglie si vincono, ma per vincere la guerra non ci si può distrarre. Dove siamo oggi? Vari indicatori OCSE mostrano chiari segni di difficoltà: La crescita vorticosa del digital-divide, aggrava l’analfabetismo funzionale degli adulti a cui potrebbero dare risposta programmi di educazione permanente; le risposte ai test Invalsi mostrano una differenza inaccettabile tra nord e sud del paese, evidenziando, qualora fosse necessario, la necessità di una continuità in una strategia intelligente di investimento di formazione al Sud. Non possiamo permetterci di andare avanti in modo inerziale, è necessario pianificare e intervenire su percorsi di lungo respiro.
Se concordiamo sulla gravità e l’urgenza del problema di dotare questo paese di strumenti di educazione, formazione e ricerca al passo con i tempi, possiamo discutere delle soluzioni e sulle priorità una volta che ci si metta d’accordo sul fatto che occorra guardare lontano, nell’interesse del paese .