Una riga in una circolare mette a rischio oltre 2mila posti fissi per i ricercatori

Fonte: Il Sole 24 Ore

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A occhi disattenti o inesperti sarà sembrata una piccola correzione formale, una riga all’interno di una circolare di 11 pagine. Ma l’effetto di questo mini-restyling, di fatto imposto alla Funzione pubblica dalle obiezioni della Corte dei conti, rischia di bloccare uno dei capitoli chiave della stabilizzazione dei precari storici della Pa avviata dalla riforma Madia e rilanciata dall’ultima manovra. Il problema riguarda gli oltre 2mila precari che come spiegato in più di una dichiarazione ufficiale del governo dovrebbero finalmente trovare un posto stabile al Cnr, all’Istat e negli altri enti di ricerca.

Tabellare e integrativi
Per capire il problema bisogna partire dai meccanismi che regolano gli stipendi nella pubblica amministrazione. In ogni ente esiste un fondo ad hoc che serve a finanziare gli integrativi, cioè le voci della busta paga che non rientrano nella base rappresentata dal «tabellare». Nella prima versione della circolare sulle stabilizzazioni, diffusa a novembre dalla Funzione pubblica, si spiegava che i nuovi ingressi negli organici avrebbero potuto far crescere questi fondi. Ma la Corte dei conti ha posto il veto. Nel nuovo documento, spunta quindi una riga in cui si dice che «il trattamento economico accessorio graverà esclusivamente sul fondo calcolato ai sensi della normativa vigente». Tradotto, significa che l’ingresso di nuovi assunti in pianta stabile non può far crescere la somma complessiva che ogni ente destina agli integrativi: somma che quindi, dopo le stabilizzazioni, andrebbe divisa fra più persone. Con la conseguenza, matematica, di abbassare le buste paga di chi è già in organico.

Finanziamenti e tetti di spesa
Il problema è generale, ma negli enti di ricerca si trasforma in un ostacolo parecchio complicato da superare. In un ministero o in un comune, infatti, la maggioranza dei precari da stabilizzare è rappresentata da persone assunte con contratti a termine, che hanno gli integrativi già finanziati dai fondi decentrati. La loro trasformazione in dipendenti stabili, quindi, non aumenterebbe il numero di stipendi a cui destinare le risorse.

Le regole nella ricerca
Negli enti di ricerca la situazione è diversa, perché spesso i posti precari sono finanziati su singoli progetti, che non entrano nel quadro ordinario dei fondi per le buste paga. Le stesse istruzioni della Funzione pubblica, del resto, spiegano che «l’ampio riferimento alle varie tipologie di contratti di lavoro flessibile» stabilizzabili previsto dalla norma (l’articolo 20 del nuovo Testo unico del pubblico impiego) «può ricomprendere anche i contratti degli assegnisti di ricerca». Tutte persone che oggi non ricevono un euro dai fondi decentrati.

Alla ricerca di una via d’uscita
La soluzione non può essere cercata nemmeno nei fondi aggiuntivi messi a disposizione proprio per ricercatori e tecnologi dall’ultima legge di bilancio. Quelle risorse servono per allargare il turn over negli enti, ma non possono aggirare la regola generale che «congela» i fondi per i decentrati. La soluzione più solida al problema passerebbe da una nuova norma: ma per approvarla ci vorrebbe un Parlamento nel pieno delle sue funzioni.

 

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